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giovedì 27 gennaio 2011

Fazzoletti

Finalmente il tempo, lo spazio e il mondo mi appartenevano.
L’aria mi avvolgeva tutta e con una carezza mi liberava dalla cappa claustrofoba della città, dell’ufficio, dall’insidia velenosa della routine..
Avevo scelto quel fazzoletto di mondo così aperto per respirare pienamente, per guardare senza impedimenti e barriere, per sentire con tutti i sensi e pensare. Pensare e scrivere.
Andavo a letto presto, la sera, e al mattino mi svegliavo all’alba.
Mi piaceva l’alba e mi piaceva compiere quel rituale, la domenica mattina, al parcheggio della discoteca : guardare i fazzoletti di carta gettati via, buttati a terra come inutili o scomodi testimoni di un pezzo di vita .
Dedicavo una meticolosa attenzione a quei discreti, accartocciati testimoni di brevi emozioni o disagi fisici, presto spazzati via:, sbriciolati, ridotti a brandelli.
In ogni fazzoletto riuscivo a vedere uno dei tanti giovani da poco andati via: un gesto, una lacrima o un sorriso, un amore iniziato o un amore finito o una breve effimera emozione. Mi fermavo ad osservare la loro forma e tiravo ad indovinare.
Uno sguardo, un pensiero per ogni fazzoletto e nella mia testa nasceva una storia; per questo mi piaceva quella specie di rito. Mi piaceva perchè mi sembrava di rianimare quella bianca e piatta palude spenta, la fine di un giorno troppo lungo.
E intanto pensavo "Anche la mia vita è un fazzoletto stropicciato, accartocciato. Solo in questi giorni si distende un po'; è come se fra i tanti fazzoletti anonimi riconoscessi il mio . Lo raccolgo delicatamente e con cura lo stiro. Non riesco a far scomparire totalmente quelle brutte pieghe ma riesco a distenderle un po'. Come il mio viso più sereno con gli occhi appena velati di malinconia per l’assurdo rimpianto di non aver stirato bene la mia vita.
Ritornavo poi per la stradina polverosa e ripensavo ancora a quelle giovani vite prese dal consumo rapido, ossessivo e totale e mi inventavo nuove vite: erano dentro di me, erano davanti ai miei occhi e presto sarebbero state cristallizzate sulla carta.
Entravo in casa e misurando ogni gesto mi preparavo un caffè che gustavo con una brioche calda . Assaporavo la lentezza di ogni gesto, ogni sapore, ogni odore. Poi con calma uscivo sul retro della casa dove il terreno assumeva le forme morbide come un seno materno e restavo lì a guardare il vecchio albero. E il pensiero ritornava alle giovani vite, ai loro fazzoletti.
Mentre il sole ormai alto mandava bagliori di luce calda sul mio corpo assetato di calore ed asciugava l’erba bagnata di rugiada mi stendevo su un plaid ed iniziavo a scrivere.

Mirella Pieroni

Scritto durante un corso di scrittura creativa.

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